Masseria L’Astore, la ripartenza post covid ha il sapore del vino e dell’olio biologici

Masseria L’Astore, la ripartenza post covid ha il sapore del vino e dell’olio biologici

LECCE – Ha anche il sapore del vino, la lucentezza dell’olio e l’odore della terra la ripartenza post covid.

E quale miglior modo per ricominciare ad assaggiare la vita se non quello di tuffarsi in un viaggio nei sensi come quello offerto da Masseria L’Astore, a Cutrofiano, che proprio questa sera è protagonista, con i suoi vini, del mini percorso AperiAis all’Hotel Tiziano a Lecce.

Sì perché riprendono anche, in sicurezza e con un numero limitato di posti, le attività conviviali della delegazione leccese dell’Associazione Italiana Sommelier, guidata da Amedeo Pasquino. Abbinato a un piatto del ristorante Michelangelo si degusteranno l’Astore Rosato Brut (spumante rosato biologico brut da Susumaniello), Krita 2020 (Salento Igp bianco biologico da Malvasia bianca) e Massaro Rosa 2020 (Salento Igp rosato biologico da Negroamaro).

Ma Masseria L’Astore non è “solo” sinonimo di vino e olio biologici e di qualità, ma anche di cultura. Basta affacciarsi nel frantoio ipogeo che sorge all’interno della struttura, di proprietà della famiglia Benegiamo dagli anni ’30 del secolo scorso, per fare un salto indietro nel tempo, fin circa alla metà del Settecento, quando il luogo era deputato alla produzione di olio lampante. E, dando uno sguardo alle imponenti macine in pietra, che un tempo venivano fatte girare grazie alla forza animale, si capisce subito quanto dura e faticosa fosse la vita di coloro che vivevano di questo lavoro, i cui ritmi di produzione corrispondevano a croci incise sulla parete, ancora oggi visibili, testimonianza del tempo che scorre inesorabile. Capofrantoio una figura del passato quasi leggendaria, il nachiro, dotato di grande tecnica e professionalità nel prelevare l’olio ottenuto a seguito della spremitura delle olive e saggiarne la qualità.

Quando la produzione di olio lampante decadde il frantoio finì in rovina, per lungo tempo. La rinascita grazie alla visione del patron, Achille Benegiamo, che ebbe l’intuito di riportarlo a splendore consentendo alla comunità di apprezzare quel patrimonio culturale, storico, artistico. Adiacente al frantoio venne realizzata una nuova struttura cui si accede tramite un corridoio introdotto da una cupola, in alto, su cui spiccano i nomi di Achille e dei figli Stefano, Luca e Paolo.

Quindi lo stupito visitatore si trova davanti alla “Cattedrale del vino”, luogo così denominato per via delle navate, delle colonne e un po’ anche per quel senso di sacro che si respira nell’aria, tra botti, tonneaux, attrezzi antichi e le bottiglie appoggiate alla pareti. Suggestioni completate anche dalla pietra leccese e dal carparo sapientemente utilizzati dal maestro Francesco Pidri di Martano.

Oggi l’attività vitivinicola e quella olivicola, condotte secondo scrupolosi criteri biologici, e che parlano di rispetto dell’ambiente e della natura, consegnano prodotti di eccellente qualità: i vini Krita, Massaro Rosa, Filimei e Jéma, la linea Alberelli, le bollicine, l’olio che, da solo, con il pane tipico del Salento, regala già il gusto di una cena completa. Vitigni autoctoni – Negramaro, Primitivo, Malvasia Bianca e Susumaniello – e vini in purezza: questa la ricetta, come spiega Paolo Benegiamo. In vigna e in cantina è l’occhio dell’agronomo Piero Mandorino a garantire la giusta attenzione. Una scrupolosa cura dei dettagli perché quel vino e quell’olio continuino a garantire ai visitatori sapore, profumi e pure un pizzico di poesia.

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