“Io apro”, lo striscione del ristoratore è ancora lì: “Rabbia e senso di solitudine”

“Io apro”, lo striscione del ristoratore è ancora lì: “Rabbia e senso di solitudine”

LECCE – Lo striscione “Io apro” è ancora lì, voce di dissenso e, insieme, di sconforto. L’iniziativa dei ristoratori contro le chiusure, con relativo hashtag lanciato via social in tutta Italia, è del 15 gennaio scorso e, per la verità, non ha raccolto una grande adesione in provincia.

Ma Miro Maranesi, titolare del Miro Coffee Bistrot & Lounge a Lecce, ha lasciato lì, esposto sotto l’insegna, a vantaggio dei passanti, il suo messaggio di protesta, i cui motivi non sono certo venuti meno. La Puglia è ancora zona arancione e bar e ristoranti sono aperti solo per asporto e consegne a domicilio.

Le restrizioni, pensate ai fini del contenimento di un virus che continua a mietere vittime – oggi altre 11 in Puglia – sortiscono anche l’effetto di assestare un duro colpo all’economia locale. Servirebbero “ristori e regole giuste“, dice Maranesi. “Io ho percepito 600 euro all’inizio, ma pago complessivamente 2500 euro al mese di affitto per i miei locali”. Senza contare altre spese, contributi e bollette. “Poi sono sempre stato escluso da tutto, in quanto ad aprile 2019 ero chiuso per lavori”. Pertanto è caduto il parametro del “calo del fatturato” rispetto all’anno precedente. “E non sono certo l’unico ad essere in questa situazione”, spiega, raggiunto al telefono da salentowebnews.it.

“Oggi sono anche un po’ nervoso, perché oltre alle restrizioni da pandemia ci si è messa anche la pioggia”. E di clienti se ne vedono ancora meno. Miro ha scelto di lasciare aperto il suo locale, “mi faccio vedere, mantengo i contatti“, spiega. Inoltre, abbassare la saracinesca è anche un rischio. Perché alla riapertura si potrebbe dover fare i conti con infiltrazioni di umidità e altre situazioni spiacevoli. Ma sul complesso dei provvedimenti adottati sono, ora, in molti a farsi domande. Perché a portare il peso maggiore sono soprattutto alcune categorie, baristi, ristoratori, titolari di palestre, operatori della cultura. “Se vendessi magliette sarebbe diverso”, spiega, sconfortato.

“Andrà sicuramente meglio in futuro, anche perché peggio di così non credo possa andare, ma la rabbia che sento la porterò dentro a lungo. Provo anche un senso di solitudine, lo Stato ci volta le spalle“, racconta. E poi c’è anche un’altra considerazione rispetto al ruolo delle associazioni di categoria nella battaglia: “Non ho visto nessuno”, spiega.

In questi giorni un’altra ristoratrice leccese ha affidato ai social il suo sfogo. Nessun intento, nelle sue parole, di negare la pandemia e le sue conseguenze. Ma solo il voler sottolineare che non è “socialmente corretto” che i ristoratori siano considerati degli “untori”, mentre altre categorie continuano, tranquillamente, a poter svolgere il loro lavoro.

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